L’età del bacino di Pianico-Sèllere

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Nonostante che negli ultimi decenni siano stati acquisiti nuovi metodi di datazione applicabili ai depositi del Quaternario (ultimi 2,6 milioni di anni), la datazione geocronometrica resta molto difficile, soprattutto quando un sedimento non è databile con il carbonio radioattivo, perché più vecchio di 40-50 mila anni. La datazione con un solo metodo può fornire risultati dubbi, perciò è bene impiegare più metodi di datazione geocronometrica (decadimento radioattivo K/Ar, numero 3), di correlazione stratigrafica (paleomagnetismo, n°4; biostratigrafia pollinica, n° 2; tefrostratigrafia) e biocronologica (vertebrati) e confrontare i risultati.

Lo studio paleomagnetico della Formazione di Pianico ha individuato una inversione magnetica nella parte finale del Banco Varvato Carbonatico, interpretabile come limite Matuyama / Brunhes e databile a 780 mila anni fa (Scardia et al., 2009 e in prep.). La datazione radiometrica K / Ar ha fornito un’età di 779 ± 13 mila anni per il livello di cenere t 21d (Pinti et al. 2001), in perfetto accordo con l’evidenza paleomagnetica. La palinologia indica, considerando le biozone di distribuzione di specie estinte nella parte finale del Pleistocene Inferiore, un’età più recente di 850 mila anni (Rossi, 2003). Inoltre, la successione delle biozone polliniche di abbondanza, calibrate tramite il conteggio delle varve, indica una successione di eventi climatici correlabile a quella individuata nella carota EPICA nell’intervallo tra 800 e 755 mila anni fa.

In figura questa correlazione è indicata dalle fasce azzurre. Infine, il ritrovamento di Cervus acoronatus e di Microtus arvalidens nella Formazione di Pianico indica un’età compresa tra 1000 e 600 mila anni fa. Qualche anno fa è stata avanzata una ipotesi alternativa – correlare l’Interglaciale di Pianico con lo Stadio Marino Isotopico 11 tra 410 e 390 mila anni fa – basandosi sulla correlazione tefrostratigrafica del livello di cenere t32 con il BLT eruttato dal Roccamonfina (Brauer et al., 2007), ma ulteriori analisi geochimiche su questo tefra hanno smentito questa ipotesi (Roulleau et al., 2009). Tale ipotesi, inoltre, non trova il supporto di altri metodi di datazione e correlazione stratigrafica.