Un calendario di 19 mila anni per comprendere la storia del clima

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Nel 1998 si svolse la prima visita dei ricercatori del C.N.R. al giacimento di Pianico-Sèllere. Si evidenziò subito l’importanza scientifica di un particolare motivo di sedimentazione: i depositi lacustri sono organizzati in finissime coppie di lamine, che si ripetono senza interruzione per uno spessore di oltre dieci metri. Sono alternanze stagionali, dette varve; una coppia rappresenta un anno. Si organizzò un gruppo di lavoro e, lo stesso anno, Achim Brauer, varvologo del Geoforschung Zenter di Potsdam, eseguì i primi conteggi delle varve. Si scoprì così uno degli archivi calendariali di pietra più lunghi al mondo, della durata di almeno 15.500 anni. Si aprirono nuove, entusiasmanti prospettive per la ricerca sulla storia del clima nelle Alpi. Sabina Rossi, Jacques Louis de Beaulieu, Maurice Reille, Federica Badino e Clara Mangili studiarono i granuli di polline e la composizione geochimica dei cristalli di calcite deposti nelle varve. Edoardo Martinetto e Daniele Gianolla iniziarono lo studio dei macroresti vegetali e dei molluschi. Durante una escursione, Mangili e Rossi scoprirono un osso metacarpale affiorante: si trattava del tallone della zampa di un intero scheletro di cervo. Il recupero viene condotto con successo nel 2001 da Anna Paganoni, Federico Confortini e Matteo Malzanni del Museo civico di Scienze Naturali di Bergamo, che lavorarono all’allestimento del reperto fino all’inaugurazione della sala dedicata nel Museo, aperta nel 2012.

Tra il 2000 e il 2002 Brauer scoprì due livelli di strana composizione, impacchettati nelle varve: risulteranno essere ceneri vulcaniche appartenenti a due diverse grandiose eruzioni esplosive. Dalle ceneri si separò il vetro e i minerali per la datazione tramite il decadimento radioattivo del potassio, un metodo mai applicato nel Quaternario delle Alpi italiane. Quando, nel 2001, Pierre-Yves Gillot, Daniele Pinti dell’Univ. Paris Sud e Sergio Chiesa del C.N.R. ottennero le prime datazioni numeriche radiogeniche (779 ± 13 mila anni fa), crollò una delle “certezze” del Quaternario alpino: i depositi di Pianico-Sèllere non rappresentano l’ultimo interglaciale, bensì l’ottavo, che nel frattempo veniva scoperto anche in Antartide.

Dal disorientamento che seguì naque l’idea di attivare indagini paleomagnetiche. Infatti, se l’età radiogenica è corretta, essa cade in prossimità di un altro evento geologico grandioso che ha lasciato traccia nelle rocce della Terra: l’inversione dei Poli magnetici, avvenuta l’ultima volta 785 mila anni fa.

Xavier Quilledeur, Giovanni Muttoni e Giancarlo Scardia affrontarono un difficile studio magnetico, con risultati incoraggianti: i depositi più antichi, lungo il Borlezza, presentano una polarità magnetica inversa, mentre quelli più in alto nell’archivio lacustre danno un segnale diretto secondo la polarità attuale dei poli magnetici. Ma la posizione esatta dell’inversione magnetica non era chiara, e si sospettava che nell’archivio mancassero un numero imprecisato di pagine (varve). L’unica soluzione era carotare in profondità sotto il torrente. Il sondaggio divenne realtà nel 2007, grazie al supporto offerto da Ecogeo di Diego Marsetti. Si perforò per 80 m senza raggiungere il fondo lacustre, ma lo studio del carotaggio fornì risposte importanti: la magnetizzazione dei sedimenti documenta la posizione esatta ove è registrata l’inversione dei poli magnetici, confermando così l’età radiometrica; si confermò l’ipotesi di Venzo sulle prime fasi di origine del lago; inoltre si è completato il conteggio della parte di varve che non erano visibili in affioramento lungo il torrente.

Questo breve excursus storico evidenzia un’accelerazione delle ricerche negli ultimi 15 anni che promettono ulteriori sviluppi. Tuttavia rischiano di interrompersi, per il taglio dei fondi di ricerca C.N.R. dal 2001.