Il cervo

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Il 19 febbraio del 2000, mentre perlustravano le sponde del Torrente Borlezza, due studentesse17 individuarono un osso affiorante sulla parete dalla “sezione Arnie” (Fig. 69). I tecnici del Museo civico di Scienze Naturali di Bergamo e dell’Università di Ferrara stabilirono poi che si trattava delle ossa del tallone di un grande vertebrato. Sappiamo che intere carcasse di mammiferi, con i polmoni pieni d’aria, possono galleggiare sulla superficie dei laghi prima di andare a fondo. Fortunatamente l’erosione del torrente non aveva ancora intaccato la zampa, quindi si capì che l’intera carcassa era conservata nei sedimenti. Il Museo organizzò dunque un impegnativo scavo di recupero dell’intero scheletro. Il sedimento su cui appoggiava era fessurato in alcuni blocchi che permisero l’asportazione, il restauro e l’esposizione dell’intero scheletro in museo dove lo si può oggi ammirare (Fig. 69). è l’antenato del cervo attuale, da cui si differenzia perché il palco presenta solo due pugnali terminali, mentre la specie vivente oggi in Eurasia. possiede una corona di più pugnali. Gli studiosi lo hanno chiamato, per l’appunto, “Cervus acoronatus”. In base al polline fossile, questo esemplare visse nell’ultimissima parte della fase calda MIS 19 in cui le montagne della Val Borlezza erano coperte di foreste miste di latifoglie e conifere, prima dell’avanzare della glaciazione numero MIS 18 (vedi Fig. 36). Infatti lo scheletro era contenuto nell’ultima fascia chiara del “wafer” descritto nel capitolo precedente (vedi colonnina calendario).

Resti di cervo erano già stati trovati lungo il Borlezza nel XIX secolo, ma quello esposto al Museo di Bergamo è lo scheletro più completo esistente della specie fossile. In base al modello di età (Appendice), il cervo visse 762 mila anni fa circa.